Comune di San Giuseppe Jato
Città Metropolitana di Palermo

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Storia e cultura

Antichi reperti incastonati come gemme preziose in luoghi che raccontano radici di antiche civiltà
L'apertura domenicale delle Case D'Alia per il mese di Dicembre è dalle 9 alle 18.

Gli scavi

I reperti più antichi di Monte Jato sono frammenti di ceramica indigena dipinta, databile tra il 1000 e l'850 a. C.; l'insediamento potrebbe, dunque, risalire agli inizi del I millennio a.C.
Di questo periodo autoctono, però, si sa poco come quasi nulla è rimasto dei periodi seguenti, fino ai reperti che attestano i contatti con il mondo greco, L'edificio più antico finora noto è un Tempio dedicato ad Afrodite, costruito verso il 550 a.C.
Dalla presenza di materiali di importazione di origine greca, si deduce che i primi contatti, nonché il successivo insediamento dei Greci, siano databili alla prima metà del VI sec. a. C. I resti di una architettura pubblica ci permettono di valutare la consistenza di tali rapporti.
Per il V e IV sec. a. C. sono attestati edifici sacri, individuati a sud di quella che sarà la piazza principale della città ellenistica. Dell'abitato dell'epoca si conosce finora una casa con cortile, parzialmente a due piani, facente parte della zona abitata dai Greci.
Verso il 300 a.C., la città venne interamente ricostruita secondo i canoni urbanistici greci. Furono conservati, a quanto attualmente ci è dato di constatare, i menzionati edifici sacri e la casa a cortile. Fanno parte della nuova pianta urbanistica le fortificazioni, la rete viaria nonché edifici pubblici di rilievo come il Teatro e l'Agorà con i suoi portici e con il retrostante buleuterio (la grande sala per le sedute del consiglio dei cittadini, o boulé). I quartieri residenziali furono anch'essi edificati a nuovo. Caratteristiche sembra fossero le case signorili con cortile a peristilio (cioè con corte interna circondata da un portico a colonne), di cui una messa alla luce per intero e altre sono in corso di scavo.
Successivamente, in epoca romana (I sec. d. C.) la città principia la sua decadenza. La grande casa a peristilio e il tempio di Afrodite vanno in rovina. Gli stessi edifici sulla piazza principale e l'Agorà risultano trascurati.
Del resto, l'attività edilizia nel periodo romano imperiale è scarsissima. L'ultimo ampliamento del teatro greco, che prevedeva la costruzione di un corridoio d'accesso a lato dell'edificio scenico, rimane incompiuto.
Nonostante tutto, la vita della città continua, fino al pieno Medioevo. Del periodo bizantino ci sono pervenute talune monete emesse dagli imperatori di Costantinopoli.
Del momento successivo, arabo-normanno, è testimonianza un insediamento musulmano ad ovest del centro antico, nella zona dell'altopiano (non ancora toccato dagli scavi). Tra i ritrovamenti del periodo arabo-normanno sono da annoverarsi talune monete d'argento coniate da Muhammed Ibn Abbad, che fu l'ultimo dei capi ad opporsi a Federico II, e molte dimore che attestano l'importanza raggiunta da Giato in epoca medioevale prima e durante la grande insurrezione contro l'imperatore cristiano.
Infine, l'età svevo-normanna è ampiamente documentata da ceramiche e monete. Infatti, numerose sono le emissioni monetali con i nomi dei sovrani Enrico VI e di suo figlio Federico II.

Antica città di Jato

Sul pianoro del Monte Jato, fiorì la greca Jaitas, su un insediamento assai antico, le cui origini si fanno risalire, comunemente, alle popolazioni sicanoelime della Sicilia occidentale (I millennio a. C.).
La prima fonte storica, anche se contestata o rifiutata, è quella di Tucidide il quale fa cenno dell'occupazione della città da parte di Gilippo, durante il suo cammino verso Siracusa.
Nel 340 a.C. essa è menzionata, a proposito di un agguato teso dai Cartaginesi ai soldati mercenari di Eutimo di Leucade.
Il periodo più florido si data intorno al 300 a. C., quando si rinsaldano i rapporti che legano gli indigeni abitanti sul Monte Jato ai Greci, tant'è che taluni si essi si trasferiscono nella Valle, dando vita ad un proficuo modello di coabitazione. Poi, ai Greci subentrarono i Romani, i quali, successivamente, la annoverarono tra le città "stipendiarie" della Sicilia. Nel 71 a. C. Jaitas fu vittima delle vessazioni e ruberie di Caio Verre, allora pro-rettore in Sicilia.
Dopo l'età romana, è attestata anche, seppure poco documentata, una fase di vita in età bizantina, a cui mise fine la conquista araba della Sicilia iniziata nell'827. Le fonti e i documenti di età normanna attestano che la presenza musulmana a Giato (nome della città in età arabo-normanna) era molto forte. La città, in quel periodo, era abitata da tredicimila famiglie musulmane. Durante la dominazione normanna, Giato (Catù) conobbe uno splendido momento di benessere economico come lo si evince dalle parole di Ibn Idrisi nel suo "Libro di Ruggero" e dal famoso documento latino-arabo del 1182, detto Rollo, con cui Guglielmo II donava appunto a S. Maria Nuova di Monreale i territori di Jato (Magna Divisa Jati), Corleone e Calatrasi.
Poi, la dominazione sveva segna, senza dubbio, la città musulmana negativamente portandola, prima, alla ribellione (1243) e, poi, alla sconfitta (1246) ad opera dell'Imperatore Federico II.
Distrutta Giato, i suoi abitanti furono deportati a Lucera, in Puglia. La sopravvivenza di toponimi arabi, nella Valle dello Jato, dimostra, comunque, che nonostante l'estirpazione la presenza arabo- musulmana, nella zona, perdurò a lungo.

La ricerca ed il parco

Fondata intorno al I millennio a. C. e sviluppatasi fino al 1246 d. C., quando venne distrutta da Federico II, la lontana Jato offre allo sguardo una complessa stratificazione, venuta alla luce dopo una intensa e non ancora conclusa campagna di scavi.
Attualmente i ritrovamenti più significativi riguardano l'antica Jaitas, tra l'età arcaica e quella classica del periodo greco.
Alla zona archeologica si accede attraverso una comoda carrozzabile. Per salire agli scavi, vi sono tre sentieri che si inerpicano sul monte. Uno è quello detto Dei Militi, che parte da San Cipirello e sale sulle falde del monte Jato, permettendo di godere la vista di uno splendido panorama. Un altro sentiero inizia dal Cimitero vecchio di S. Giuseppe Jato e conduce ad una pineta sulla sommità del monte. Un altro percorso è quello della Scala di ferro, che inizia dalla strada che conduce a Piana degli Albanesi, in corrispondenza del Cimitero nuovo.
Dal 1971 è stata intrapresa l'indagine sistematica dell'antica Jaitas a cura dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Zurigo sotto la direzione scientifica dell'archeologo Hans Peter Isler, che ancora vi effettua annualmente regolari campagne di scavo. Tenendo conto del grande interesse storico, documentario e artistico dei rinvenimenti, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo ha promosso una serie di interventi per garantire la fruizione del sito all'interno del suo straordinario contesto ambientale. A tal fine è stata espropriata una vasta area, estesa circa 200 ettari con al suo interno il perimetro della città antica, che ricade dal punto di vista amministrativo nel territorio del Comune di San Cipirello.
Grazie all'intervento finanziario della Comunità Europea ed alla sinergica e convergente attività di molte istituzioni (Assessorato Regionale dei Beni Culturali e Ambientali, Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo, Comune di San Cipirello, Comune di San Giuseppe Jato, Provincia Regionale di Palermo, Azienda Autonoma per l'Incremento Turistico) è stato possibile, tra l'altro, realizzare le prime e necessarie infrastrutture che rendono possibile la visita del sito. Si è potuto, così, salvaguardare l'insediamento nella sua complessità topografica e ambientale, restituendo alla collettività un luogo ricco di storia e di cultura, nell'incontaminata bellezza del suo paesaggio naturale.

Il museo civico

La presenza di una zona archeologica esito della campagna di scavi promossa a partire dal 1971, dall'Università di Zurigo (direttore il prof. Hans Peter Isler), in stretta collaborazione con la Sovrintendenza di Palermo, ha prodotto la costituzione del Museo Civico Retino, aperto in via Roma a San Cipirello, avvenuta in seguito al ritrovamento delle quattro statue, due menadi e due satiri, provenienti dalla facciata del teatro.
La Sovrintendenza aveva deciso di trasportare le statue al Museo Nazionale di Palermo, ma la popolazione si mobilitò e in poco tempo riuscì ad approntare quanto era necessario per trasportare e mettere al sicuro le quattro mastodontiche sculture.
Le statue sono alte oltre due metri e seguono tutte la stessa tipologia. Le braccia alzate sostenevano un carico oggi mancante. Le donne portano entrambe una corona d'edera: sono dunque menadi che accompagnano Dioniso, il dio del teatro. Le figure maschili sono satiri, appartenenti anch'essi alla cerchia di Dioniso. Hanno il petto cinto di una ghirlanda e indossano una gonnella di pelo, il costume degli attori. Questo tipo di sostegno architettonico in forma umana è attestato in Sicilia, per personaggi maschili, a partire dal V sec. a.C. II materiale delle statue, il calcare fine del Monte lato, rende possibile l'elaborazione dettagliata di tutti i particolari. Lo stile delle figure è classico, la simmetria compositiva deriva dalla funzione di cariatide. Le statue appartengono all'edificio scenico originale. Le particolari condizioni di rinvenimento impediscono, per ora, di ricostruirne la collocazione precisa. Le statue indubbiamente, non erano autonome, ma inserite nell'architettura, e collocate in posizione angolare, come indicato anche dal fatto che una sola delle mani è lavorata. Due leoni accovacciati decoravano sul fianco le file di gradinata riservate alle autorità, soluzione decorativa questa che non trova per ora riscontro in altri teatri noti. Si espone uno dei leoni, reintegrato da più frammenti. Le differenze di colore della pietra indicano tuttora che i frammenti riposarono per secoli in strati di terra diversa il corpo del leone, privo di tre zampe, giaceva, ricoperto di fango, al centro dell'orchestra. Due delle zampe si rinvennero in prossimità delle due statue femminili, la terza apparve invece, anni dopo, vicino ai posti d'onore sul lato opposto dell'orchestra. La testa, che per secoli emergeva dal terreno, risulta molto consunta dalle intemperie. In fondo alla sala si vede, ricostruita, parte del tetto dell'edificio scenico del teatro. Si tratta di tegoloni lunghi quasi un metro e molto pesanti. Hanno le caratteristica di essere bollati con iscrizioni greche. Per coprire l'edificio scenico ci volevano almeno mille di queste tegole. Le tegole a iscrizione vanno attribuite al tetto del secondo edificio scenico. Una prima serie di queste recava l'indicazione: "TEATPOY del teatro'', applicata in posizione centrale. Lo stesso stampo "TEATPOY", già difettoso, fu riutilizzato per una serie di tegole di ricambio. Tutti gli edifici pubblici della città greca Iaitas, e cioè il tempio di Afrodite, l'edificio scenico, i portici dell'Agorà, erano coperti di tegole, bollate prima della cottura. Si voleva così impedire il furto di beni pubblici per scopi privati. Edifici pubblici richiedono una manutenzione costante. Numerose iscrizioni di tegole indicano nomi di persone che sono i nomi dei magistrati responsabili.
Con il tempo, il Museo si è arricchito di altri reperti di pregevole valore archeologico appartenenti ai periodi elimo, greco, romano e medioevale. Tali reperti sono tipologicamente e cronologicamente esposti in opposite vetrine.
Vetrina I: In alto si vedono alcuni materiali provenienti dagli strati di distruzione della casa a peristilio, come un calice di terra sigillata, un coltello da macellaio, e, in calchi, alcune monete. Spicca un manico di bronzo decorato a testa di satiro. Elementi della decorazione pavimentale e parietale della casa si vedono al ripiano inferiore. In alto a destra, esposta una campionatura delle lucerne provenienti dal deposito votivo davanti al tempio di Afrodite, e inoltre il vaso frammentario che reca inciso l'inizio del nome della divinità. Sul piano medio sono esposti i vasi del deposito votivo trovato all'interno del tempio di Afrodite. Questo deposito comprendeva anzitutto vasi per bere importati, tra cui due coppe fabbricate ad Atene, gravemente frantumate, appartenenti alla classe Droop. Pure da Atene proviene una tazza a vernice nera; quattro tazze molto frammentarie, di forma analoga, verniciate solo parzialmente, provengono invece da Corinto. C'è poi un gruppo di ciotole decorate a nastri, molto danneggiate, di produzione indigena locale. La ceramica d'importazione, di per sé semplice, deve essere stata altamente apprezzata a Iaitas, visto che ha subìto riparazioni a filo di piombo, di cui restano evidenti i fori praticati nella parete dei vasi. Nel ripiano inferiore della vetrina I sta, a sinistra, l'altare domestico della casa a peristilio. Seguono alcuni vasi usati dagli abitanti in epoca ellenistica. A destra si vede una scelta di materiale indigeno anteriore all'arrivo dei Greci a Iaitas, scoperto negli strati sottostanti il tempio di Afrodite.
Vetrina II: Nel ripiano superiore si vede una lucerna a sostegno, dono votivo ad Afrodite, il piattello di terra sigillata indica l'abbandono del teatro in epoca tiberiana, mentre i frammenti di sigillata africana provengono dagli strati tagonista bella e desiderata e quella del vecchio schiavo furbo. Sono tipi di maschera ben noti deldi crollo dell'edificio scenico, avvenuto attorno al V secolo d.C. Alcuni vasi medievali invece furono scoperti in una cucina di epoca tarda sull'Agorà. Il ripiano medio e quello inferiore mostrano, a sinistra, i vari tipi di antefissa del teatro, e cioè, in due varianti, la maschera della giovane prola Nuova Commedia di Atene. Si legge anche il bollo del fabbricante di queste antefisse, Portax, la cui fornace è stata identificata alcuni anni or sono alla foce del fiume lato. Nel ripiano medio a destra vediamo due grandi frammenti di vasi indigeni dell'ultimo periodo, databili, in base a vasi greci associati (il piccolo frammento a vernice nera, di importazione da Atene), nella prima metà del V secolo a.C. Nel ripiano inferiore sono esposti alcuni vasi sporadici provenienti dalla necropoli, saccheggiata prima dell'inizio degli scavi regolari. Sporadico è anche un coperchio di urna romana in marmo, ritrovato in un contesto medievale dell'agorà.
Vetrina III: Sono qui illustrate le tipologie della ceramica indigena incisa e dipinta, della ceramica greca a vernice nera e di quella romana (sigillata aretina ed africana).
Vetrina IV: Si espone una campionatura della ceramica medievale invetriata a base di piombo. Vi si aggiungono le pentole invetriate e quelle fatte a mano libera.
Vetrina in basso al centro: Adestra si illustra la tipologia delle lucerne di Monte lato, dagli inizi nel VI secolo a.C. fino in epoca sveva. A sinistra prodotti dell'artigianato antico e medievale. Spicca un frammento di rilievo osseo con Ganimede rapito dall'aquila di Giove. Notevoli anche i bronzi medievali di accurata lavorazione. Nel ripiano inferiore stanno un capitello ionico e una base, provenienti dal cortile della casa a peristilio. Inoltre due tegole con iscrizione bollata, l'una con il nome della città Iaitas, l'altra con il nome del magistrato Tammaros.

Il tempio di Afrodite

L'edificio più antico di carattere pubblico, di 17,8 su 7,25 metri, si trova nella zona di scavo occidentale. La caratteristica pianta indica che si tratta di un edificio sacro. La facciata era messa in risalto da grossi blocchi di pietra agli angoli esterni. I muri esterni, soprattutto dei lati nord e ovest, sono abbastanza ben conservati, mentre sul lato a valle non ne restano che le fondazioni. Nel Medioevo l'edificio ha subito ulteriori danni, dal momento che se ne sono ricavate pietre per nuove costruzioni.
L'analisi accurata dei frammenti di ceramica contenuti nei pavimenti e nelle trincee di fondazione dimostra che il tempio è stato costruito verso il 550 a.C. o poco dopo.
La pianta dell'edificio mostra un vano posteriore chiuso, un adyton, tipico del tempio greco della Sicilia occidentale. Il vano principale era suddiviso da due colonne di legno di cui si sono rinvenuti solo la base e un capitello in posizione di crollo. La porta del tempio si trovava al lato est. Antistante al tempio si distingue l'altare, eretto in grossi blocchi.
Questo tipo di tempio era diffuso in tutto il mondo greco. Tipicamente greche sono la tecnica di costruzione e la pianta ortogonale, accuratamente proporzionata.

Il teatro Jaitas

Il teatro della nuova città, largo in totale 68 m. è un monumento di grandi dimensioni. Dall'analisi della cavea risulta che v'erano 35 gradinate con una capacità di 4.400 posti. L'anfiteatro, con le gradinate disposte a semicerchio, poggiava sul pendio naturale, sottostante la cima del Monte lato; solo l'ala orientale riposava su un ammasso artificiale, in seguito franato. Le tre gradinate inferiori, di cui la terza provvista di schienale, fungevano da "posti d'onore" per magistrati, sacerdoti e ospiti della comunità. Da un ambulacro retrostante i posti d'onore si accedeva, tramite 8 scalinate, alla cavea alta, suddivisa in 7 settori.
Un secondo ambulacro facilitava l'accesso ai posti della somma cavea non conservata. I sedili oggi mancanti furono per lo più reimpiegati nelle costruzioni medievali che vennero ad occupare la zona del teatro antico. L'orchestra, lo spazio circolare destinato alle danze del coro, aveva un suolo di battuto. L'acqua piovana scolava, tramite un tombino di pietra, nel canale che passa sotto la scena. L'edificio scenico, con i caratteristici parasceni laterali, è ben conservato. Essi racchiudevano il palcoscenico, rialzato di poco rispetto all'orchestra.
All'interno dell'edificio scenico si sono rinvenuti numerosi pezzi di pavimento del piano superiore e tegole rotte.
Intorno al 200 a.C. circa, il palcoscenico è stato alzato al livello del piano superiore e protratto nell'orchestra, per adattarlo alle nuove esigenze spettacolari, secondo l'uso del tempo diffusosi in tutto il mondo greco. L'ampliamento in profondità è un tratto siciliano, adottato in seguito al diffondersi dell'architettura teatrale romana. Un ultimo ampliamento dell'edificio scenico che prevedeva, in periodo romano tardo imperiale, la chiusura degli accessi sul lato est e la costruzione di un corridoio d'accesso al lato ovest è rimasto incompiuto.

La piazza principale

La piazza principale o Agorà della città si estende su un'area aperta, di 50 per 40 metri, pavimentata di lastre arenarie analoghe a quelle della via principale.
La piazza era circondata, sui lati est, nord e ovest, da portici a due navate. Le colonne poggiavano su uno stilobate a tre gradini. In origine il portico nord, a due navate, si protraeva oltre l'angolo ovest della piazza. Alcuni blocchi dello stilobate sono rimasti in situ, i più vennero reimpiegati per il nuovo portico ovest, aggiunto in un momento successivo. Due diversi tipi di lastrico evidenziano i due periodi di costruzione. Il lato ovest della piazza principale comprende tre edifici, eretti su una pianta unitaria: il portico, la retrostante sala del consiglio o bouleuterion di Iaitas e, annesso a sud, un tempio.
L'intero impianto fu realizzato nel II sec. a.C. avanzato; nella sua interezza si data due secoli dopo la piazza.
Nell'area del portico ovest sono state rinvenute tegole con bollo latino, segno della dominazione romana che da oltre un secolo incombeva sulla città su tutta la Sicilia occidentale. Il portico ovest, a due navate, e largo 9 metri, fu costruito con materiale di reimpiego e ricongiunto, alla ben e meglio, con lo stilobate del portico nord. Sono stati trovati elementi del colonnato sia interno che esterno, entrambi di ordine dorico. Alcuni fusti di colonna, scoperti in posizione di crollo sono stati rialzati per motivi di conservazione.
La sala del consiglio, di pianta quasi quadrata, includeva 9 gradinate a semicerchio, accessibili tramite 4 scalinate. Gli oratori che intendevano rivolgersi all'assemblea si collocavano nello spazio libero fra le due porte d'accesso.

La casa a peristilio

Lo scavo dei quartieri residenziali della città nuova si è finora concentrato su una dimora signorile con cortile a colonnati, chiamata perciò "casa a peristilio". L'edificio occupa al pianterreno 800 metri quadrati ed era dotato su gran parte della sua superficie, di un piano superiore. L'aspetto elegante della casa fa pensare a un proprietario di rango elevato.
A Iaitas, peraltro, esistevano, come evidenziato da altri "saggi di scavo" presenti in loco, numerose altre dimore dello stesso stile.
Nella pianta della casa si contano in tutto, cortili compresi, 25 vani. L'approvvigionamento con acqua potabile era garantito da non meno di 4 cisterne d'acqua piovana, in parte con copertura ad archi. La facciata della casa, rivolta a sud, era messa in rilievo da grandi blocchi di calcare, privi di funzione statica, poggianti su un muro di piccole pietre. Dallo spazio antistante il tempio di Afrodite si accedeva, per pochi gradini, al vano d'ingresso. Passato questo vano, si raggiungeva il cortile a peristilio. Da un'entrata secondaria, si accedeva al peristilio tramite uno stretto corridoio; esso stabiliva un collegamento anche con il cortile di servizio. Taluni vani dell'angolo sud-est, di livello interno più basso rispetto al cortile della casa, disponevano di ingressi autonomi. Si tratta di botteghe certo subaffittate. L'uso di alcune di esse è stato chiarito: vasche di pietra a livello del suolo attestano, assieme a resti di attrezzi caratteristici, la presenza di una "fullonica", cioè di una tintoria. Vi si lavavano e ricoloravano tessuti nuovi e usati.
Lo scavo del cortile a peristilio ha messo in luce fusti di colonna del pianoterra ancora eretti. Molti elementi archi-tettonici giacevano fra di essi in posizione di crollo. Gli elementi architettonici in calcare locale, lavorati con cura fin nei minimi particolari, sono di ordine dorico e di ordine ionico.
Il colonnato del cortile era a due piani. La galleria del piano superiore, con pavimento in cocciopesto, era delimitata da balaustre. L'area del cortile era dotata di un lastrico finemente levigato. Le colonne sono, nella parte inferiore, sfaccettate anziché scannellate. Gli ambienti di rappresentanza della casa erano situati sul lato nord del cortile. La caratteristica pianta, con porte e finestre decentrate, lascia intendere che i vani laterali erano sale da banchetto. Una casa greca includeva di norma almeno una sala da banchetto.
Al piano superiore esistevano stanze di pianta identica a quella del pianoterra: tre ambienti anch'essi di rappresentanza. In corrispondenza a quelle doriche del pianoterra troviamo qui due colonne ioniche all'entrata. Ogni sala di banchetto conteneva 9 letti, ciascuno dei quali poteva accogliere due convitati. Nelle 4 sale da banchetto dei due piani si arrivava dunque ad ospitare comodamente 72 persone.
Il bagno era dotato di un'anticamera e di un ambiente ausiliare. Disponeva di un lavandino, di cui non restava che il sostegno (distrutto, in seguito allo scavo, dai visitatori), e di una vasca da bagno incorporata. Il tutto non è stato rinvenuto al suo stato originale, ma trasformato. La porta comunicante con l'ambiente ausiliare è stata murata.
Eccezionale la presenza di una serie di vani adibiti a "bagno" privato. Bagni con vasche incorporate, in muratura, si riscontrano molto raramente in dimore private di epoca greca. Non a caso è proprio in Sicilia che ne esiste qualche altro esempio. Si tratterà di una comodità diffusa più nelle ricche zone periferiche del mondo greco che non nella Grecia vera e propria. Il muro nord della sala da bagno era attraversato dal condotto d'acqua del lavandino e da una tubatura (non più conservata) per la vasca. Al di là del muro dell'ambiente ausiliare, si constata che i condotti sboccano in nicchie con bacini, a dimostrazione della presenza di acqua corrente nel bagno, perché veniva versata a mano nei condotti! Per riscaldare l'acqua del bagno si è, anche, costruita una specie di camino al di sotto della vasca, con apertura ad arco direttamente nella sala. Nel cortile ovest, di servizio, si trova una scala d'accesso al piano superiore come pure, nell'angolo nord-ovest, il forno per il pane che si faceva in casa.
La grande casa a peristilio si presenta oggi amplificata rispetto alla sua pianta originale (300 a.C.). L'ala ovest che include il bagno con gli ambienti annessi e il cortile di servizio fu aggiunta in un secondo tempo (metà circa del III secolo a.C.).
La distruzione definitiva è avvenuta verso il 50 d.C., sotto l'imperatore Claudio.

Il quartiere medievale Giato

I ruderi rinvenuti fanno pensare che attorno al Teatro si sia sviluppato un quartiere di case abbastanza povere, ad un solo ambiente, disposte a semicerchio nello spazio della cavea, costruite in massima parte con le pietre provenienti dal teatro stesso.
Le case sono disposte intorno ad un cortile: la vita delle donne era in tal modo sottratta alla vista degli estranei. I cortili sono lastricati; le case, coperte di tegole, avevano pavimenti di battuto. All'interno della casa si trova spesso un ripiano di pietre per il letto. Uno degli angoli, separato da un muro curvo, serviva per tenervi le provviste. Vi si scoprono talvolta contenitori di derrate.
A monte delle case si trova un muro di confine. Oltre, quindi fuori dall'abitato, si sono scoperte delle tombe. Si tratta, secondo l'usanza di allora, di semplici tombe a fossa prive di corredo.
La presenza di queste sepolture in immediata prossimità dell'abitato si può spiegare con lo stato di assedio che Jaitas subì nell'ultimo periodo della sua esistenza.

Monte Jato raccontato dall'Universität Innsbruck


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